Due passi sul versante Nord della Laga

Il monte Comunitore, l'unico monte col parcheggio sotto la vetta.
Da Spelonga una perlustrazione strana, sbagliata e alla fine proficua fino al monte Comunitore. Boscaglia e frattoni pedemontani, chiesette antiche e purtroppo diroccate, castagneti, faggete e l'ombra della Festa Bella triennale evocazione della battaglia di Lepanto. Un posto strano per ricordarla, eppure ...


Quando sarebbe meglio rimanere a casa ma non vuoi perdere l’occasione per startene all’aria aperta, quando sei costretto a tirare la classica monetina in aria per provare a schivare pioggia quasi certa, quando in quota è dato per sicuro vento fortissimo e l’opzione del cinema il pomeriggio è più che una opzione inizi a guardarti nel raggio di una quarantina di chilometri per cercare tutte le possibili opzioni e scopri che avendo le montagne vicine ne hai più di quante ne immagini. Non ero quasi mai salito sul versante arquatano della Laga, se non fino alla Macera da Colle in una giornata invernale; di quella escursione ricordo poco e quel poco è molto confuso e dal momento che mi è sempre ronzato per la testa il monte Comunitore oggi poteva essere l’occasione per fare una perlustrazione da quelle parti, non avevo idea di cosa avrei trovato, salendo da Colle per la Macera il Comunitore appariva come uno sperone roccioso che si confondeva nella confusione delle tante montagne e montagnette, boschi e fratte della Laga, oggi volevo salire alto, sopra la valle del Chiarino, volevo capire meglio il territorio e soprattutto cercare di capire il complicato dedalo di valli che si dipanano da Colle e da Poggio d’Api alle pendici della Laga Nord. Partiamo da Spelonga, una frazione di Arquata del Tronto, la singolarità di questo comune marchigiano è che il capoluogo sorge alle pendici dei Sibillini e alcune frazioni come appunto Spelonga e Colle sorgono invece alle pendici della Laga; ne fanno l’unico comune che sorge nei due parchi. Spelonga è un paese con vista panoramica sul monte Vettore, mucchio di case appollaiate a poco meno di 1000m. di altezza sul versante Nord della Laga, oggi in piena ricostruzione post terremoto e sede della famosa “Festa Bella” che si tiene nel mese di agosto ogni tre anni per ricordare la battaglia di Lepanto ed in particolare i 150 spelongani che partirono per partecipare alla battaglia navale del 1571. Si tratta di una festa singolare e radicata nella storia, vale la pena citarne gli aspetti salienti e più romantici: “nei primi giorni di Agosto, un centinaio di uomini di tutte le età lasciano il paese per svariati giorni per recarsi al Bosco del Farneto (fino a qualche anno fa si recavano nel ben più lontano Bosco di Martese) per scegliere e poi tagliare un grosso albero, della lunghezza di 25/30 m. che deve diventare l’albero maestro della nave; è uno dei momenti più significativi ed emozionanti dell’intera manifestazione, che segna l’inizio della Festa Bella. A mezzogiorno in punto dopo un lungo suono di campane che chiama a raccolta tutto il paese, la popolazione saluta, nella piazza, coloro che partono. Giunti al Bosco del Farneto si organizzano le manovre per il taglio, la pulizia, la preparazione del tronco e per il trasporto, tutti i presenti guidati da un caposquadra si dispongono a coppie lungo i due lati del fusto, ogni coppia fissa in profondità, sulla linea dorsale del tronco, un elemento metallico detto “crucche” inserito in un anello di ferro ove si infila una corda molto corta a sua volta legata ad un paletto di legno (“la Stanghetta”) posto trasversalmente all’asse dell’albero. L’azione contemporanea delle sole braccia di tutti gli uomini delle “coppie”, sulle “Stanghette” coordinati dal Caposquadra, fa sì che il tronco (del peso di diverse decine di quintali) giunga fino al paese. Sempre a mezzogiorno della domenica successiva il recupero dell’albero e sempre con il lungo suono a distesa delle campane l’albero entra trionfalmente a Spelonga. Nei giorni successivi tutto il paese partecipa alla preparazione dell’albero che sempre a braccia e con il solo ausilio di funi (con funzione di tiranti) e scale (poste a sostegno e spinta) viene issato al centro della piazza, e in alto vi viene issata la copia della bandiera turca che fu trafugata ai tempi della battaglia. Tutt’intorno all’albero maestro viene allestita, con legno e rami di abete, la sagoma di una galea, appunto la “nave” di cui sopra, che ricorderà per tutto il periodo della festa e fino alla prima domenica di ottobre, lo storico evento.” Il sentiero per il monte Comunitore- Passo il Chino inizia alle spalle del paese, non ci sono segnali ad indicare come raggiungerlo, parcheggiamo nei pressi di una pensilina della fermata del bus poco fuori del paese, dalla pensilina prendiamo in direzione centro del paese e imbocchiamo la prima stradina sulla destra, che confluisce su una strada poco più grande, all’incrocio ancora a destra si raggiunge la piccola chiesetta dedicata a S. Emidio. Da qui inizia la sterrata ed i primi segnavia che aiuteranno non poco a districarsi tra le tante carrarecce che si incontrano lungo il percorso che a dire il vero offre poche viste e di tanto in tanto solo quella del monte Vettore e del Ceresa, il Comunitore a volte si intuisce; intorno qualche piccolo appezzamento e poi tanta boscaglia, qualche prateria e tante “fratte”, i tipici ambienti pedemontani della Laga. La sterrata a tratti è difficile da percorrere per i frequenti ristagni d’acqua dove piccoli pantani melmosi la fanno da padroni, sale molto gradualmente, aggirando le curve della montagna fa accumulare chilometri e dislivello a causa dei tanti piccoli sali e scendi fino ad un’altra chiesetta, quella della Madonna dei Santi (+1 ora), immersa nel bosco di castagni due chilometri e circa trecento metri sopra il paese. La graziosa e semplice chiesetta del XVI secolo è pesantemente imbragata da strutture metalliche che la proteggono da un inevitabile crollo dopo i tanti danni riportati dal sisma del 2016; ciò che appare strutturalmente integro non lo è affatto, se si prova a buttare un occhio all’interno attraverso la porta sprangata alla bella e meglio si intravede la parete dell’abside che è praticamente crollata con tanti saluti agli importanti affreschi che la adornavano. Una palina di fronte alla chiesetta indica di continuare in salita e di non seguire il sentiero che si stacca a fianco della chiesetta stessa; coperto di foglie di castagno e di faggio sale brevemente un po' ripido fino a ritornare in piano ed allargarsi in una più comoda sterrata. È in questo punto che abbiamo fatto la “scemata” della giornata, sulla sinistra si staccava una sterrata più piccola, una traccia che non aveva segnaletica, sembrava una delle tante stradine dei fungaioli o dei legnaioli e invece si trattava della continuazione del sentiero 301 per il monte Comunitore, come si sarà capito lo abbiamo tralasciato e dopo poco meno di mezzo chilometro ci siamo trovati su una brecciata ampia. Per pigrizia, o per rimanere asciutti fuori dal bosco non abbiamo pensato ad altro che seguirla, quella di oggi doveva servire da sgambata perlustrativa e tanto è stata che abbiamo praticamente raddoppiato il chilometraggio; il sentiero 301 dopo la chiesetta della Maddonna dei Santi avrebbe raggiunto da lì a poco la dorsale che sale direttamente al Comunitore, sarebbe stata una infrattata continua ma sicuramente più interessante e soprattutto più breve. Così non è andata. Per una serie infinita di tornanti la strada sale lenta, quasi perfettamente carrabile, la valle del Tronto scorre sotto, i Sibillini dalle montagne sopra Arquata, dai Pantani e Forca Canapine al Vettore, perennemente incappucciato, e al Ceresa sono l’unico orizzonte distinguibile; per il resto solo nubi dense, rischio di pioggia incombente e vento che rinforza ad ogni metro di altezza guadagnato. Il Comunitore sembrava vicino, non era esattamente così però per via degli infiniti tornanti che tagliano lentamente il versante; l’arrivo è tutta una sorpresa, ad anticipare il monte, cosa da non credere, un cartello che annunciava un parcheggio a 150m. di distanza, gli stessi che ci dividevano dal costone roccioso della vetta, una quarantina di metri sopra il parcheggio stesso (+ 2ore). L’avevamo intuito, avevamo sbagliato letteralmente tutto, ironia della sorte ci è stato impossibile continuare fino al Passo il Chino, qualche centinaio di metri oltre, da dove forse avremmo potuto salire in vetta; oltre il parcheggio si usciva dalla copertura della boscaglia, ci si veniva a trovare in testa alla valle del fosso delle Favole, sopra Colle e la valle del torrente Chiarino, in pratica la fabbrica del vento; sbattuti come poche volte era difficile anche solo camminare, le poche gocce di pioggia portate dal vento erano proiettili, la vetta del Comunitore poteva a questo punto aspettare, peccato perché non credo valga tornare e poteva essere interessante cercare di arrivare a sporgersi sulla vicina costa delle Vene Rosse, quel modesto ma lungo muraglione che si vede dalla salaria salire imperioso sopra Acquasanta. Obiettivo da rimandare magari provando a salire dal versante aquasantano, una bella sfida in questa bolgia di tracce e boscaglia fitta. Il rientro è sulla traccia dell’andata, più veloce ovviamente, su uno dei primi tronanti un bell’affaccio si allunga, anzi sprofonda sulla valle del Chiarino, su Colle e sul più lontano Poggio D’Api, già territorio laziale, le cime della Laga, le Vene, il Sevo sono sotto una coperta scurissima di nuvole; una mangiata di tornanti, sostiamo alla chiesetta della Madonna dei Santi e poi velocemente verso Spelonga che raggiungiamo (+2,30 ore) quando iniziano le prime gocce di pioggia. Una sgambata, forse poco interessante, comunque utile per farsi idee più precise sul versante nord della Laga, sicuramente da approfondire, in ogni caso non banale avendo coperto poco meno di mille metri di dislivello e coperti quasi diciotto chilometri.